CASE IN PIETRA
SUL SENTIERO DEI RICORDI > LA VITA NEL NOVECENTO ANDORESE
LE ANTICHE CASE IN PIETRA
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Le case del luogo, gli edifici in genere, erano un assoluto ricco bene di prima necessità, origine e frutto di sacrifici di intere famiglie che vi ponevano la loro fissa dimora, legando la loro esistenza al luogo, fuori da ogni e qualsiasi bisogno di speculazione e/o investimento patrimoniale.
La Liguria è da sempre una terra che ha portato a grandi sacrifici, a causa della sua conformazione territoriale, ed i materiali utilizzati per la costruzione erano strettamente quelli che il luogo forniva: terra, legname, pietra.
La terra (argilla) veniva trasformata in laterizio, mentre in aggiunta a pietra frantumata si formavano i leganti a base di calce.
I luoghi abitati erano aggregati edificati, spesso posizionati sulle pendici collinari, a mezza costa, o comunque rialzati rispetto alla parte pianeggiante del territorio, in modo da evitare le periodiche esondazioni del Torrente Merula non ancora arginato.
Agglomerati urbani che davano origine alle varie borgate, fatte di case vicine, spesso attaccate le une alle altre, su vari livelli, spesso legati alla conformazione irregolare del territorio su cui erano state realizzate:
- la prevalenza era una composizione di tipo “in linea”, cioè sviluppata lungo un percorso viario “principale”;
- non mancavano però estensioni diverse, in forma “radiale”, cioè sviluppata con posizionamenti concentrici (rispetto ad esempio alla sommità di un poggio), o a “ventaglio”, cioè sviluppata seguendo l’andamento di un versante collinare (mantenendo un’esposizione direzionale principale omogenea).
La conformazione dell’edificato dipendeva dalle caratteristiche del luogo, soprattutto dai dislivelli presenti, ma la caratteristica comune era l’apertura di esposizione verso la valle o il mare, in modo da avere una maggiore esposizione d’affaccio sul fronte principale e questo abbastanza indipendentemente dall’orientamento rispetto ai punti cardinali, anche se di principio era tenuta molto in considerazione.
La dislocazione del singolo centro edificato si estendeva ai lati di un attraversamento viario “principale”, spesso tortuoso e con dislivelli anche accentuati, agevolati da gradonature anche inclinate che ne permettevano un superamento con pendenze più adattate, ostacolando però il transito con mezzi a ruote (di legno o cerchiate in metallo).
Il sedime era possibilmente lastricato in pietra, con tessiture superficiali variabili ed irregolari, secondo il materiale reperibile nelle vicinanze ed a disposizione, nonché subordinato alle capacità costruttive, e così realizzate anche per evitare, per quanto possibile, la formazione di pozzanghere in caso di precipitazioni atmosferiche (almeno nelle vicinanze delle abitazioni).
Su tale percorrenza principale si aprivano gli accessi alle varie abitazioni e locali “produttivi” principali, unitamente a piccoli “carrugi” secondari e trasversali che conducevano a posizioni più interne, aree di corte spesso comuni tra più edifici, o semplicemente diramazioni sviluppatesi dal percorso viario principale a causa della crescita del nucleo edificato, che solitamente avveniva in modo radiale anziché in lunghezza, poiché la radialità consentiva di non stravolgere l’equilibrio dell’assetto edificato originario e degli immediati dintorni dei luoghi, qualora nel tempo si ricorresse all’ampliamento del tessuto edificato.
Il profilo inclinato dei versanti agevolava costruzioni successive “a gradoni”, con aggiunta di corpi di fabbrica addossati al terreno circostante ed agli altri edifici già esistenti, andando a creare una conformazione irregolare ed articolata, caratteristica del tipico borgo.
I nuclei più antichi presentavano arcature trasversali rispetto ai percorsi viari, in quali funzionavano da puntellatura e rinforzo tra pareti di edifici fronteggianti, ma anche via di fuga in casi disperati dovuti alle periodiche scorribande e saccheggi da parte dei corsari barbareschi.
Abitualmente, gli edifici dedicati al bestiame erano ubicati in posizioni limitrofe, ma ragionevolmente defilati in arretramento rispetto ai fronti principali, dove si aveva un più diretto contatto con la parte territoriale rurale.
Col passare del tempo e l’accrescimento dei numeri abitativi, nuove edificazioni si sviluppavano in forma isolata a contorno dei nuclei originari presenti, estendendone più velocemente l’espansione territoriale rispetto a costruzioni contigue e dando origine alle tipologie più “padronali” e “coloniche” che caratterizzeranno gradualmente un maggiore insediamento agricolo nella piana.
Le nuove edificazioni isolate, spesso venivano realizzate in luoghi per i quali erano state fatte attente e/o occasionali osservazioni sul comportamento degli animali: la credenza popolare, indipendentemente dalle moderne concezioni e conoscenze sviluppatesi con le teorie sulle emissioni di radon e sulla presenza di nodi di Hartmann, portava a considerare la scelta da parte di cani e ovi-caprini sui propri luoghi di riposo, quali siti di particolare quiete ed anticamente era abitudine abbastanza sviluppata fare pascolare a lungo un gregge su un appezzamento dove si intendesse edificare, in modo da individuare il sedime del nuovo edificio in corrispondenza di dove stazionavano maggiormente gli animali nel periodo di riposo giornaliero: questi animali, infatti, a differenza di gatti, rettili e formiche (i quali preferiscono il contrario), hanno il senso innato di percepire effetti naturali provenienti dalla conformazione e natura del terreno, scegliendo i luoghi di riposo in siti che siano estranei ad effetti che possano provocare inconsapevolmente disturbi del sonno.
Le fondazioni delle case sono limitate ad appoggi su costoni rocciosi affioranti dal profilo di scavo del sedime sul terreno e l’accostamento di grossi conci di pietra, grossolanamente squadrata, posizionata e assestata a corsi sotto i muri portanti; a volte è realizzata a secco, a volte viene “aiutata” dall’interposizione di malta, con un misto di calce e terra.
I piani terra, spesso addossati su uno o più lati contro il profilo in elevazione del terreno circostante, sono privi di pavimentazione, solitamente destinati ad un utilizzo come magazzino, deposito o stalla.
Se sono in parte sotto il livello del terreno circostante, alle spalle dei muri contro terra sono effettuati dei riempimenti in materiale arido (pietrame), a strati e spesso per dimensione dei ciottoli, in modo da formare una sorta di vespaio drenante, che viene sapientemente modellato sia per strati verticali (in base a pezzatura e granulometria al fine di creare una sorta di “filtrazione” naturale), che a forma di uno o più imbuti, in modo da convogliare le acque di scorrimento del terreno a canalette interrate sotto il piano di calpestio, ad una profondità variabile fino ai cm 50 – 70, realizzate in pendenza, partenti dal lato a monte e sfoganti sul fronte opposto del fabbricato, atte a creare una sorta di canale di convogliamento e scolo delle acque di scorrimento naturale del terreno a monte e mantenendo il più asciutto possibile l’ambiente interno; tali canalette solo realizzate accostando e allineando lastre di pietra a formare una sezione rettangolare o trapezoidale.
I muri in elevazione sono tutti originariamente in pietra, a conci casuali, raccordati con interposizione ed intasamento dei giunti con scaglie, riempimenti in terra molto compressa, malte a base di calce; in tempi successivi compaiono anche aggiunte di laterizio (mattoni pieni) e cocci di laterizio in genere (scarti derivanti da altre lavorazioni).
In alcuni casi, gli spigoli laterali sui prospetti principali vengono realizzati con la sovrapposizione di conci di sezione piuttosto maggiorata rispetto alla restante tessitura muraria, incrociati, e talvolta squadrati con accurata scalpellatura.
Alcune murature sono di qualità inferiore e, anziché composte con un sistema di alternanza ed incrocio dei conci lapidei utilizzati, sono di tipo “a sacco”, cioè i due paramenti esterni del muro sono realizzati con conci curati, ma di spessore ridotto ed il riempimento del restante spessore interposto è effettuato con materiale “di scarto” (spesso volgarmente misto a terra), posato in opera casualmente quale riempimento fino al completo intasamento del tratto murario.
Le murature in elevazione sono in pratica tutte portanti ed a gravità (la stabilità è data dalle dimensioni molto massicce e dal peso proprio del materiale utilizzato), non sono a piombo, ma sfruttato la “scarpa”, cioè il paramento verticale inclinato, dovuto allo spessore che diminuisce salendo in altezza; tale accorgimento permette di aumentare il punto di ribaltamento del muro stesso, aumentandone la stabilità e durata nel tempo anche in caso di assestamenti marcati.
Lo spessore dipende molto dal numero di piani che si vanno a realizzare (solitamente sono due o tre) e varia di circa 15 – 20 cm ogni piano: quindi, si parte a terra con circa cm 65 – 95 cm di spessore e si arriva ai cm 35 – 55 all’ultimo piano sottotetto.
Come detto, praticamente tutti i muri hanno funzione portante, sebbene alcuni siano “maestri” o “di spina” e gli altri soprattutto “di tamponamento”; i muri “maestri” (generalmente laterali esterni) e “di spina” (interni e principalmente paralleli ai precedenti) sono solitamente in direzione monte-valle, mentre quelli di tamponamento sono gli altri perimetrali esterni; questi ultimi spesso presentano lesene o contrafforti, cioè maggiorazioni di spessore o aggiunte successive (contro muri) localizzate e di rinforzo per eventuali eccessivi assestamenti e/o cedimenti ridotti.
Raramente sono presenti delle “chiavi”, cioè degli elementi metallici a catena, passanti esternamente ai muri portanti (ma all’interno del fabbricato e spesso a vista), bloccati sui paramenti esterni dei muri perimetrali (facciate) con l’inserimento di un elemento simile ad un piccone, attraversante una grossa asola della catena; tali elementi strutturali hanno lo scopo di rinforzare la tenuta dei muri contrapposti e “legarli” tra loro, conferendo stabilità e resistenza all’intero fabbricato.
I piani inferiori, detti anche “fondi”, hanno solai in forme miste: si possono realizzare in legno, con rami intrecciati (spesso di olivo), oppure con travi principali in legname appena sbozzato (tronchi) comunemente di castagno (talvolta di rovere) e soprastante tavolame.
Oppure, strutture murarie più complesse come le “volte” “a botte”, “a crociera”, “a crociera con archi ribassati”.
La soluzione delle “volte” è una costruzione più massiccia, che scarica i carichi strutturali con componenti inclinate anziché solo verticali, alleggerendo di fatto il comportamento statico dell’intero complesso edificato.
La differenza tra le tre soluzioni sopra elencate è variabile e dipendente dalle caratteristiche dirette della costruzione: una “volta a botte” scarica sostanzialmente “lateralmente” su due lati, presentando gli altri due come semplici murature di tamponamento (si crea concettualmente uno schema strutturale che può essere esemplificato con una sorta di “galleria” o “tunnel”; la “volta a crociera” è un sistema più complesso che si trova in posizione più interna planimetricamente e determina la concorrenza di più ambienti adiacenti, con uno schema di scarico che tende a tutti e quattro i lati, principalmente presso i pilastroni (piedritti) angolari; la “volta a crociera con archi ribassati” è una variante più complessa dello schema precedente, dove gli archi ribassati funzionano quali contrafforti alla struttura e spesso concorrono a creare aggiunte di volumi adiacenti, creando spazi interni di forma più articolata ed ampia rispetto al quadrilatero classico e di dimensioni medie.
I piani superiori sono abitualmente abitativi: una cucina con focolare, priva di impianto idraulico (l’idraulica è presente solo in edifici in posizioni particolari che possono sfruttare l’adduzione per caduta da fonti naturali, camere da letto, non ci sono servizi igienici, i quali sono spesso soluzioni fortunose all’esterno dell’edificio e/o angoli utilizzati come “latrine” ricavati nei campi limitrofi (tali “latrine” sono un fosso e diventeranno un vascone, dove i liquami decantati saranno riutilizzati per la concimazione dei campi).
L’acqua viene portata dai pozzi (in tempi più recenti) o dai lavatoi, ruscelli, corsi d’acqua, sorgenti, per mezzo di secchi, mastelli, ecc..
Il sollevamento dell’acqua dal sottosuolo avviene mediante le “sigögne” (strutture a bilanciere), oppure tramite le “nòie” (strutture a rotazione con forza animale); solo in epoche successive saranno introdotte forme dapprima rudimentali di “pompe”.
Internamente alcuni ambienti sono privi di finiture superficiali (non intonacati), successivamente altrimenti intonacati con spessori variabili e con superficie che segue le irregolarità del muro sottostante.
- I soffitti dell’ultimo piano, soprattutto se appartenenti a locali abitati, sono prevalentemente costituiti da uno strato di canniccio intonacato e ciò si evidenzia dal fatto che il soffitto stesso si presenta solitamente sagomato, con una forma con derivazioni tondeggianti al posto di spigoli vivi, realizzata proprio grazie alla natura facilmente sagomabile della “stuoia” di canniccio; conseguentemente si hanno altezze a sezione e forma variabili, intermedie tra la forma della “volta” e il solaio piano.
- Agli ultimi piani possono essere ricavati:
- - fienili, e in questo caso il locale sottostante è quasi sicuramente la stalla, collegata con una botola che permette di far cadere il foraggio per l’alimentazione degli animali, evitando spostamenti all’esterno e l’occasionalità che il prodotto si possa bagnare in caso di precipitazioni atmosferiche;
- - seccatoi, dove provvedere alla conservazione dei prodotti alimentari coltivati;
- - terrazzate, magari in parte loggiate, che hanno da un lato il vantaggio di fungere come i due ambienti precedentemente descritti e d’altra parte costituiscono un seppur minimo risparmio nella mancata realizzazione del tetto di copertura, che, salvo crepe di assestamento e con qualche periodica generosa stuccatura, permettono di evitare infiltrazioni nei locali sottostanti.
In entrambi questi due ultimi casi, si tratta di spazi coperti, ma ampiamente aperti perimetralmente, in modo fa consentire una ampia circolazione d’aria, utile al mantenimento funzionalmente salubre dei prodotti stoccati.
Le impermeabilizzazioni sono praticamente sconosciute e demandate alla stesura e posa in opera di strati di “calcina” (in tempi successivi “boiacca”, strati di malta e/o legante in forma molto “grassa”, cioè con alta incidenza percentuale del legante nella mescola), al pari delle caratteristiche utilizzate per le vasche tonde.
Le pavimentazioni, come detto, sono praticamente assenti al piano terreno, mentre ai piani superiori dipendono molto dalle condizioni economiche degli abitanti: si può incontrare un semplice tavolato in legno, una pavimentazione di cemento bocciardato (la “bocciarda” è un attrezzo simile ad un rullo metallico con un manico, tipo l’odierno rullo per imbiancare, solo che la superficie cilindrica è dentata, simile ad una pannocchia di granoturco, in modo che rullandola sulla superficie cementizia stesa, incida delle irregolarità omogenee che costituiscono aspetto decorativo e funzione antisdrucciolo), piastrelle di cotto (laterizio) rigorosamente fatte a mano e allettate talvolta su terra e talvolta su sabbione.
I tetti di copertura sono di forma variabile, ma sempre a falde, una – due – più raramente tre, mentre i classici padiglioni a quattro falde sono ancora poco usuali, perché i corpi di fabbrica addossati creano volumi articolati e di dimensioni più ridotte.
La struttura è esclusivamente in legno, con travature portanti principali e secondarie, nonché rompitratta (arcarecci) in travetti provenienti da tronchi sbozzati, listelli lignei spesso di sezione non prettamente omogenea; sono pressochè non utilizzate le capriate, anche se in alcuni casi si presentano soluzioni “artigianali” che in qualche modo possono richiamarne la natura, con aggiunta di qualche puntello, in quanto le tecnologie costruttive delle capriate sono complesse e necessitano di lavorazioni ed assemblaggi più complicati per le maestranze famigliari contadine.
I manti di copertura sono originariamente in “ciàppe” di pietra, sapientemente sovrapposte ed appesantite da isolati pietroni, posti abitualmente sui bordi esterni della falda, in modo da stabilizzare ulteriormente allo spostamento in caso di forte vento.
Alternativamente, coppi d’argilla, che anticamente venivano modellati dalle donne sulle proprie cosce e poi essiccati o naturalmente o con l’ausilio di fornaci occasionali e controllate in modo improvvisato.
Successivamente diventano sempre più comuni le tegole laterizie piane sagomate (tipo marsigliese), che permettono e garantiscono una agevole realizzazione di falde anche con inclinazioni maggiori.
In tutti i casi i manti di copertura sporgono dal filo perimetrale dei piani sottostanti, mediante l’utilizzo di “passafuori” cioè travetti in legno che fuoriescono dai muri perimetrali e sono collegati superiormente da un travetto ligneo di coronamento; lo sporto, il cornicione, varia tra i cm 50 - 70 ed ha la duplice funzione di allontanare lo stillicidio dalla parete verticale sottostante e creare una protezione coperta al passaggio in aderenza al perimetro esterno del fabbricato; dove i corpi di fabbrica sono strettamente addossati ed intervallati gli uni agli altri, lo sporto della copertura viene notevolmente ridotto (anche questo è un risparmio) fino ad una decina di cm, in modo che possa funzionare solamente da “risvolto” sullo spessore della muratura perimetrale sottostante e da gocciolatoio..
I comignoli e le canne fumarie sono realizzati in laterizio (mattoni pieni), possibilmente esterne/indipendenti dai tetti di copertura, in modo da non interromperne il manto; se presenti all’interno della superficie del manto di copertura, vengono raccordate a quest’ultimo con converse di piombo; in alcuni casi passano all’interno dei vani, rappresentando una sorta di elemento radiante che scalda gli ambienti che attraversa.
Le aperture in facciata non sono molto grandi, e solitamente di dimensioni equiparabili al rapporto 2/3 tra larghezza e altezza, oppure con altezza appena superiore alla larghezza (tendenti alla forma quadrata); l’altezza dal pavimento interno è cm 70 – 85 e la quota degli architravi è variabile tra i cm 170 – 195, difficilmente si raggiungono e superano i 2 metri.
Non sono rare, ai piani superiori, le “porte-finestre” prive di protezione al vuoto: in alcuni casi è presente solo un gradino di una ventina di cm, oppure una semplicissima ringhiera d’affaccio.
I davanzali e le soglie sono in pietra (ardesia), mentre gli architravi sono o in legno (tronchi sbozzati) ed affiancati tra loro sino alla copertura dell’intero spessore murario, o arcuati a tutto sesto o sesto ribassato in conci di pietra con sbozzatura tendente al troncoconico – trapezoidale, mattoni laterizi pieni e spesso nei due materiali frammisti.
Gli stipiti sono generalmente assenti e le spalline sono talvolta in pietra a vista e talvolta intonacate (in epoche successive).
Le aperture in facciata sono “strombate”, cioè più larghe all’interno e più strette all’esterno: questo accorgimento permetteva tra l’altro di ridurre la superficie di apertura “esterna”, consentendo ugualmente un aumento di sezione illuminante interna ed aumentando l’angolo di osservazione da interno ad esterno.
I serramenti sono esclusivamente in legno (si usano le essenze legnose locali, possibilmente stagionate con essicazione naturale) e variano dalla semplice anta suddivisa in due – tre quadranti vetrati, all’anta piena in legno; le soluzioni più presenti sono l’anta vetrata con lo scuretto (a volte esterno, a volte interno), oppure l’aggiuntiva persiana esterna con sportello, la quale permette un minimo di illuminazione, aerazione e possibilità di “scrutare” all’esterno (più o meno senza essere visti).
Le porte di accesso sono tavole semplicemente chiodate e/o assemblate in modo più o meno accurato, talvolta decorate con cornici e coprifili lignei.
Le serrature, i sistemi di chiusura dei serramenti di accesso, sono molto semplici: un filo di ferro, uno spezzone di corda, una corda con un piolo di legno ad una delle estremità, una catenella da bestiame, o la più sofisticata classica chiave con serratura ad un giro e una leva a bilanciere con meccanismo a scatto: all’interno il classico “ferro morto”, una sorta di puntello per “sprangare” l’apertura.
Le scale interne possono essere in legno a pioli (solitamente per salire in soffitta – sottotetto), assi e tavole inchiodate a creare solo pedate, oppure più stabili scale in muratura piena, con gradini (pedate) in pietra (ardesia).
Le scale esterne sono principalmente con blocco in muratura piena nella partenza, con rampa che si sviluppa e appoggia con una struttura ad arco rampante, quest’ultimo realizzato in conci di pietra, in mattoni pieni e/o nei due materiali misti.
I terrazzi sono sempre dotati di parapetto in muratura; spesso presentano pilastrini in pietra e parapetto in laterizi (più o meno intonacati) e posati in opera con tessitura mista e variabile (a volte anche in forma alternata in modo da creare spazi vuoti frontali).
I balconi sono pressochè assenti e qualora siano presenti sono di dimensioni molto contenute, semplici affacci esterni che prendono il nome di “poggiolo”, presentanti una soletta di materiali che variano secondo la disponibilità economica degli abitanti: si parte da semplici strutture portanti in legno, sino ad improvvisate solettine piene in calcestruzzo, arrivando alle più ricercate e “nobili” soluzioni con staffe laterali in ferro (anche battuto) in cui si appoggiano/incastrano lastre in ardesia di spessore importante; i poggioli sono una caratteristica “di lusso” e vengono completati da ringhiera in ferro più o meno lavorata con motivi e decori; nei casi più poveri si presenta una sorta di staccionata in legno.
Le dimensioni costruttive tipiche prevedono ambienti non molto ampi, dimensionabili tra i mq 7 – 11, solitamente di forma quadrilatera irregolare (dovuta ad immancabili fuori squadra, oltre che con pieghe verticali lungo la parete, dovute alle tecnologie ed abilità costruttive artigianali spesso improvvisate dell’epoca), con il lato riconducibile a ml 2,80 – 3,40, con altezze utili interne tra piano di calpestio e soffitto comprese tra cm 195 – 255.
I “fondi” ed i locali non abitativi in genere hanno anche altezze utili sensibilmente minori, soprattutto se il posizionamento è immediatamente addossato alle pareti contro terra, dove i costoni rocciosi affioranti dettano variazioni anche consistenti dei piani di calpestio dei piani inferiori.
Le case dell’epoca non accolgono due attività domestiche quotidiane abituali, che sono svolte in modo molto diverso da come le conosciamo oggi: il bucato e la panificazione.
Entrambe sono difficilmente svolte nella propria abitazione e spesso sono effettuate in modo comune.
In molte borgate ed agglomerati abitati esistono dei “recanti”, degli angoli dove sono ricavati dei “lavatoi”, un solo od una serie di “trogoli” (vasconi), alimentati da acqua corrente che arriva da sorgenti o è incanalata da corsi d’acqua limitrofi, dove le massaie si recano abitualmente ad effettuare le faccende domestiche legate al lavaggio dei panni e del bucato; dove non ci sono lavatoi, tali operazioni si effettuano direttamente inginocchiati presso un’ansa di un corso d’acqua o trasportando faticosamente a casa dei secchi e catini pieni d’acqua presi da fontanili.
La stessa situazione avviene anche per la panificazione, per la quale si utilizzano forni realizzati in un’aia, una corte, uno spiazzo tra le case.
Il forno può essere sfruttato un po’ da tutti; vi si preparano e cuociono “gerle” (ceste) di pani che poi vengono amorevolmente conservati in una “credenza” o in una “madia”, per giorni e anche per settimane, fino alla panificazione successiva.
Entrambe queste assidue fatiche quotidiane rappresentavano un punto ed un’occasione di incontro, momenti di aggregazione della vita sociale del semplice e duro mondo contadino.
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Per quanto riguarda l’arredamento interno, è tutto molto semplice ed essenziale:
In cucina:
- fa da padrone il tavolo, dove si mangia e attorno a cui si svolge la convivialità della famiglia, seduti su sedie artigianali, con seduta impagliata;
- il focolare, un camino a cui si appendono i paioli per mezzo di catene;
- una padella ed una padella con fondo forato per cuocere le castagne;
- stoviglie ridotte al minimo, solitamente scodelle e qualche piatto per occasioni più particolari, con coltelli di varia foggia e mestoli;
- la “madia” in cui si conservano farina, pane ed altri alimenti;
- il mortaio, che viene utilizzato per diverse operazioni di preparazione quotidiana dei cibi;
- un matterello, strumento indispensabile nella lavorazione delle sfoglie per la pasta fatta in casa, che spesso viene messa a seccare stendendola su fili in un angolo fresco ed asciutto della casa;
- il lume, principalmente ad olio e poi anche ad acetilene, carburo, ecc., unica fonte di illuminazione artificiale, portatile, oltre a rare candele.
In camera:
- il letto, realizzato con un tavolato posizionato rialzato su quattro “blocchi”, nei casi più agiati decorato da testiera in ferro lavorato con semplici decori;
- il materasso, i cuscini, sono solitamente sacchi di canapa tessuta, riempiti con fogliame di granoturco e, per chi se lo può permettere, con ricche e comode imbottiture di lana di pecora, cardata artigianalmente e tramandata come ricca eredità;
- un cassettone, oppure un armadio o un comò, dove tenere in ordine gelosamente i pochi abiti ed effetti personali, tra cui l’unico esemplare “della festa”, utilizzato nelle occasioni speciali, tre – quattro volte nell’intera vita;
- in alcuni casi poteva presenziare un piccolo camino (sostituito successivamente da una piccola stufa a legna, ma più frequentemente una sorta di ripiano, in pietra o muratura di mattoni pieni, leggermente a conca, al cui interno si posizionavano pietre arroventate all’interno del focolare e sfruttate come fonte di riscaldamento nelle notti con temperatura più rigida (in alcuni casi si usavano anche mattoni pieni riscaldati circa nello stesso modo e posizionati al fondo del letto, per infondere tepore a piedi e gambe durante il sonno).
Infine, un accenno alla presenza di animali, indispensabili all’economia famigliare:
- buoi, mucche, muli, cavalli: forza lavoro e forza motrice necessaria, addestrata alle lavorazioni e spostamenti pesanti;
- pecore: capi d’allevamento utili per il diserbo dei campi, la fornitura di lana (da vendere o per realizzare i tessuti e capi d’abbigliamento artigianali utilizzati dalla famiglia contadina), agnelli per vendita – baratto – sostentamento, latte per la produzione di latticini per uso domestico o per la vendita o scambio con altri prodotti;
- capra: praticamente insostituibile ed immancabile nell’economia domestica di ogni famiglia, utilizzata con le stesse motivazioni produttive della pecora (tranne che per il diserbo, perché per natura e carattere tende a danneggiare ortaggi, alberi da frutto e arbusti, cimandone i giovani getti, germogli, punte di rami e spellando i tronchi), con l’aggiunta che il latte diventava surrogato nell’allattamento dei numerosi bambini e la pelle veniva utilizzata per creare otri per trasporto di prodotti come vino e soprattutto olio;
- maiale: non tutti si potevano permettere il suo allevamento, ma come si usa dire “del maiale non si spreca niente” e, pertanto, oltre al fabbisogno per l’utilizzo della carne, si sfruttava il grasso quale lubrificante e le ossa bollite per fare sapone;
- galline: immancabili fonti alimentari per carne e uova, spesso incontrollate anche all’interno della cucina durante il giorno;
- cane: non solo per compagnia, ma anche per lavoro, nell’accudire gli altri animali allevati e compagno e strumento fedele durante la caccia, che costituiva una reale e comune pratica giornaliera per approvvigionamento integrativo di cibo.
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