ANTICHI ACQUEDOTTI - Geometra Mario Vassallo

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ANTICHI ACQUEDOTTI

SUL SENTIERO DEI RICORDI > TESTIMONIANZE DAL PASSATO
L'ACQUEDOTTO DEL MARCHESE MAGLIONI
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Gli “Archi” sono ciò che resta dell’antico e scenografico acquedotto della Marina, fatto costruire nell'Ottocento dal Marchese Marco Maglioni per portare l’acqua da una sorgente di Mezzacqua alla propria residenza della Marina.
La sorgente si trovava appena a monte della Villa Tebaldi sulla Strada Vicinale del Coscione, attuale via Sant’Ambrogio, mentre il complesso residenziale sorgeva nei pressi della attuale Villa Laura e Parco degli Aviatori.


Il tratto di arrivo presso il luogo dove risiedeva il Marchese Maglioni


L'ultima testimonianza del tratto di partenza vicino alla Villa Tibaldi

Sebbene la documentazione a riguardo sia piuttosto scarna, da uno studio effettuato sulle riprese fotografiche, messe a confronto con le rilevanze dimensionali di quanto rimane e dei luoghi circostanti, si riesce a ricostruirne la consistenza in modo piuttosto attendibile.

Si trattava di una struttura rettilinea, di lunghezza circa 270 metri, composta da arcate di luce pressochè costante, costituite da muratura in parte piena ed in parte a sacco di pietrame, in parte con conci squadrati e con presenze di elementi in laterizio, su piedritti e pile di base tendenti ad un quadrato di 1,50 metri circa di lato.
L’intera struttura aveva uno spessore in sommità di circa cm 50, e vi scorreva il flusso idrico per mezzo di una canaletta incassata di larghezza circa cm 30 ed uguale profondità.
L’altezza dell’intera struttura da terra era variabile, in funzione dell’andamento altimetrico dei terreni attraversati e della pendenza realizzativa per permettere un regolare e continuo scorrimento dell’acqua all’interno del canale sommitale: circa 6,00 - 6,50 metri in arrivo (presso l’edificio di residenza) ed intorno ad 1,00 metro circa in partenza (Strada Vicinale del Coscione).
La distanza tra i piedritti rinvenuti sino ad oggi era di circa 4,70 metri, con un interasse teorico di 5,45 metri.
Dalla documentazione fotografica antica si riescono ad individuare 34 arcate, ma in totale, secondo le dimensioni stimate e rinvenute, sarebbero state presumibilmente in numero da 45 a 50.



La costruzione dell'intero impianto strutturale avviene intorno alla metà degli anni '70 dell'Ottocento, quando Marco Maglione, non ancora Marchese, dopo essere convolato a nozze con Lilla Cambiaso si insedia nella nuova residenza della Marina.
Le arcate finali, cioè quelle che arrivano alla Villa di residenza vengono presto "accostate" da un cascinale parallelo e parzialmente addossato alle stesse.
Il terremoto del 1887 colpisce e danneggia ampiamente l'edificio di residenza di Marco e anche l'acquedotto ne risente, riportando fessurazioni e localizzati distacchi che vengono sommariamente ripristinati.
All'inizio degli anni '30 del Novecento, soltanto dopo mezzo secolo dalla sua costruzione, si accentuano le prime lesioni gravi lungo la struttura arcata, che portano, a metà del decennio e poco dopo l'ultimazione di Villa Laura, ad un primo crollo del tratto a ponente (cinque arcate) rispetto gli attuali archi rimasti.
Questo primo tratto crollato corrisponderebbe all’attuale sedime stradale della via Clavesana, che esisteva in forma di strada interpoderale.




Nel periodo tra la metà degli anni '30 e la fine degli anni '40 del Novecento, il territorio andorese viene colpito a ripetizione da eventi atmosferici che lo segnano, tra cui le persistenti mareggiate, l'alluvione del 1948 ed un paio di tempeste.
Proprio durante una di queste ultime, dopo poco tempo dal primo crollo, con il vento forte nella notte cedono altre sei arcate a levante degli attuali archi rimasti.
Successivamente, tutti gli altri tratti ancora integri furono gradualmente distrutti ed eliminati in funzione dello sviluppo edilizio:
  • due (alla fine dei lavori saranno tre), ormai pericolanti, furono eliminate in concomitanza della costruzione della Pensione Nello e contestualmente a lavori di ampliamento del sedime viario che diventerà via San Damiano;
  • progressivamente, la costruzione di nuovi edifici e la realizzazione del percorso stradale che diventerà viale Mazzini concorreranno alla distruzione dell'antico acquedotto in tutta la sua lunghezza verso la Villa Tebaldi;
  • poco dopo la metà degli anni '70 del Novecento verranno sacrificate le ultime tre arcate collegate all'edificio che fu in periodi diversi la residenza del Marchese Marco Maglioni, il Gran'Hotel du Parc e infine Colonia di Cuneo, per la realizzazione di uno dei tre "palazzi blu" che si affacciano attualmente sul Parco degli Aviatori.

Perverranno a noi le sole tre arcate esistenti a lato della via Clavesana, nel tratto compreso tra viale Mazzini e via San Damiano, oltre alcuni resti di altri piedritti limitrofi (quelli del secondo crollo), contenuti all’interno dei giardini privati vicini.

Tali “ruderi” dell’antica struttura rimasero, fino alla metà degli anni ’90 del secolo scorso, all’interno dei terreni della proprietà Luzzati e coltivati da Trentino Belenda, sicuramente preservati solo perché casualmente estranei a comparti di edificazione.



Intorno al 1995 giunge il momento dell’edificazione anche su tale appezzamento, con una lottizzazione.
Tuttavia, in questo caso si interviene preservando quanto rimasto, anziché devastandolo definitivamente, ed anzi si provvede al restauro e consolidamento degli antichi resti, rendendoli ufficialmente un patrimonio pubblico.
Della relazione che identifica l’intervento da effettuarsi si riporta da descrizione dello stato delle arcate superstiti:
Ad una prima analisi generale sullo stato di degrado delle strutture orizzontali si può constatare una condizione statica sufficiente per le due arcate verso Ovest, mentre più preoccupante appare l'arcata Est.
Le murature verticali dalla notevole sezione, si presentano staticamente in buono stato.
Lo stato di coesione del materiale lapideo è in più punti compromesso a causa della vetustà dell’opera, con il conseguente degradamento delle murature.
La parte intradossale delle areate manifesta numerose lacune tra i mattoni e le parti terminali verso Ovest ed Est presentano una muratura interrotta con conci distaccati od in avanzata fase di distacco. In special modo la pila esterna Est presenta una vistosa porzione di muratura mancante proprio sulla verticale del pilastro di sostegno.
In relazione al valore monumentale del manufatto si impone la necessità di proporre un intervento di risanamento e consolidamento che non alteri minimamente l'aspetto architettonico ma che ne salvaguardi tutti gli elementi murari costitutivi.

                                                 

L’intervento primario è quindi orientato al consolidamento statico delle strutture orizzontali rendendole solidali con i pilastri di sostegno”.



Rielaborazione grafica Mario Vassallo


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Gli "Archi" oggi, dopo la ristrutturazione effettuata
DOVE SI TROVA / COME ARRIVARE
LA BEŖA
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Secondo le testimonianze tramandate, la “Beŗa” era una canalizzazione, tipo acquedotto, in parte fuori terra ed in parte interrata che, secondo le informazioni locali, principalmente legate ai ricordi popolari, partendo dalla confluenza tra il Rio Moltedo con il Torrente Merula, alimentava i frantoi andoresi ed infine giungeva al mare passando dietro le Case della Stazione ed alimentando per ultimo il “gumbo” presso il complesso edificato di Villa Tagliaferro.
Nel corso degli anni è pressochè scomparsa a causa delle varie trasformazioni subite dal territorio ed i resti che ne ricordano in tempi recenti la sua esistenza ed il suo passaggio, partendo dalla parte alta del territorio comunale, sono i seguenti:
  • tratto dove è ancora ubicata l’ultima grande ruota dei “gumbi” andoresi, presso il Frantoio Morro;
  • tratto sommerso dalla vegetazione ai piedi del versante collinare in Regione Pian di Basole;
  • tracce presso i ruderi dell’ex “gumbo” Anfosso – Musso – Testa;
  • tratto ormai demolito in prossimità delle cinte murarie delle abitazioni a fianco al Parco Caduti della Grande Guerra di Molino Nuovo;
  • tratto ancora esistente a monte del complesso edificato del “Gumbassu”;
  • tratto interrato in corrispondenza del confine a Levante della proprietà Vezzaro;
  • tratto di canalizzazione idraulica rinvenibile in antiche foto, attraversante i campi preesistenti nell’area compresa tra l’attuale complesso “I Saraceni” e la via Risorgimento.


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La situazione è in realtà parecchio più complessa e può essere interessante soffermarsi ad analizzarla.
Ciò è stato possibile grazie ad approfondimenti documentali e riscontri grafici con le moderne tecniche di rilievo e sovrapposizione cartografica, è stato possibile appurare più esaurientemente la situazione in dettaglio, esaminando le antiche mappe catastali (fogli di mappa d’impianto del Nuovo Catasto Terreni e del Catasto francese “Napoleonico”), nonché ampliando le ricerche alle informazioni rintracciabili nell’Archivio Storico Comunale Andorese.

Alcuni documenti storici contrattuali rilevano accordi stipulati con atto notarile del 1715 tra esponenti delle famiglie Anfosso e Marchiano, secondo cui si definivano impegni reciproci a dotare la zona dei dintorni della Borgata Duomo e le limitrofe aree agricole di una canalizzazione idraulica che alimentasse i rispettivi frantoi e costituisse una sorta di acquedotto irriguo per i terreni attigui ed attraversati, raccordandosi ad opere idrauliche preesistenti (opere di presa, cisterne, beodi, rii, ecc.).
La zona specifica di tali accordi può essere identificata in riferimento all’ex “gumbo” Anfosso – Musso – Testa ed i “gumbi” presenti nella valletta di Duomo ed in regione Acqua Calda e, pertanto, tra le Borgate Duomo e Ferraia.
Tale struttura idraulica si andava ad integrare con quella principale già esistente, riconoscibile o attribuibile alla “Beŗa”.
Lo studio approfondito della documentazione cartografica ha permesso di evidenziare come tutto il territorio comunale fosse anticamente caratterizzato non solo dalla “Beŗa”, ma da una fitta ed estesa rete di canalizzazioni idrauliche nella parte pianeggiante della valle, soprattutto nell’estensione verso il litorale costiero.
A tale fine, si rende necessario fare una distinzione territoriale, considerando l’estensione valliva pianeggiante in due aree: una di levante ed una di ponente, rispetto all’alveo del Torrente Merula.

La parte a ponente, risulterebbe fortemente collegata, almeno concettualmente, all’opera idraulica chiamata “Beŗa”.
Tuttavia, non si deve pensare ad una canalizzazione continua attingente acqua nella valletta di Moltedo e diretta al mare, utilizzata per alimentare i vari “gumbi” incontrati e quale eventuale fonte di approvvigionamento idrico dato dal proprio percorso.
Infatti, non solo non si trattava di un’unica canalizzazione, ma probabilmente non era proprio “una” canalizzazione.
La ragione ed il significato devono essere ricercati nelle risultanze documentali e nei confronti cartografici che mettono in relazione i vari aspetti del territorio andorese e della Valle del Merula nel suo insieme.
In tempi passati, prendendo in esame ciò che è riscontrabile e documentabile dall’inizio dell’Ottocento al secondo dopoguerra, il territorio andorese era principalmente un ambiente contadino e come tale si presentava la necessità di avere un sistema di irrigazione che permettesse di attingere con buona continuità a fonti idriche.
Non erano ancora utilizzati in modo esteso i pozzi (ne risulterebbero indicati un numero esiguo, posizionati in punti del territorio inadeguati e/o insufficienti a poter rappresentare una potenzialità di sfruttamento a scopo irriguo), per mancanza di pompe di sollevamento, a parte i sistemi meccanici prevalentemente a forza animale, che comunque non sarebbero stati idonei ad un’opera di irrigazione quasi giornaliera in determinati periodi dell’anno agrario.
Conseguentemente l’irrigazione era di tipo a scorrimento, “a solco”, mediante la realizzazione e tenuta di una vera e propria rete di variabili canali superficiali atti a condurre e trasportare il contenuto idrico a disposizione e necessario, talvolta prelevato da sorgenti ai piedi dei versanti collinari.
Tali canalizzazioni “scorrevano” per forza in pendenza e, considerando la conformazione del territorio andorese, indipendentemente dalle variazioni che può avere subito nel tempo, è impossibile pensare o sostenere che una canalizzazione principale potesse partire dalla valletta di Moltedo, scendere verso il mare e durante il tragitto distribuire e servire tutto il territorio limitrofo e non.
Ecco infatti che documentalmente emergono delle interruzioni di tragitto, le quali corrispondono ad opere di presa in corrispondenza di rii e fossati discendenti dai pendii collinari di ponente, che evidentemente (come ancora oggi in alcune zone dell’interno, dove ci sono tubi che pescano da tratti in cui si formano pozze naturali che vengono sfruttate come vere e proprie vasche di adduzione) erano l’origine di fornitura idrica localizzata per alcuni tratti e porzioni del territorio.
Quindi, si sarebbe in presenza non di una canalizzazione unica, ma di tratti, una sorta di percorso, sicuramente di maggiore importanza e identificato/distinto come “la Beŗa”, la quale sarebbe stata sfruttata in modo predominante per il funzionamento di alcuni “gumbi” e per le limitrofe zone attraversate, ma in presenza complementare con altre canalizzazioni idriche più localizzate e secondarie per estensione individuale, seppure di primario utilizzo.

La parte a levante del Torrente Merula si presenta in modo sostanzialmente diverso nella zona dell’entroterra, dove le adduzioni non avvengono tanto dai rii discendenti dai pendii collinari (tranne alcuni sporadici casi soprattutto nella borgata Costa di San Pietro, dove esiste una specifica canalizzazione idraulica che attinge dal Rio Negri per alimentare un “gumbo”), bensì direttamente dall’alveo del Torrente Merula.
Mentre nella zona più verso il litorale costiero, è presente una fitta rete molto articolata di canalizzazioni, le quali caratterizzano le delimitazioni dei vari appezzamenti, spesso con sviluppo per l’intero perimetro degli stessi e con una diffusione molto estesa.
La particolarità è che tale presenza verrebbe concentrata nell’area territoriale oggi identificabile con due linee idealmente perpendicolari al fronte costiero e passanti circa per le attuali via san Lazzaro e via Piana del Merula, con un’estensione dal mare sino all’odierno ponte ferroviario.
In questa zona si rileva una “ragnatela” di canali, fossi, beudi, tra loro collegati e/o formanti vere e proprie ramificazioni, estese a coprire l’intera estensione dei campi presumibilmente coltivati, formando una rete di irrigazione a cielo libero che sfrutterebbe la naturale pendenza dei luoghi.

Volendo fare un paragone con tempi più recenti, in effetti la suddetta considerazione ricalcherebbe la situazione successiva al periodo napoleonico e risalente fino a circa cinquanta anni fa, quando i vari poderi, anche di proprietà diverse, erano tra loro uniti e dipendenti nelle coltivazioni dalle stesse fonti di approvvigionamento idrico (dei mini-consorzi stipulati o concordati verbalmente da patti tra privati), che prevedevano l’adduzione dell’utilizzo idrico con una portata principale per mezzo di tubazione e successiva irrigazione “a solco”, cioè modellando una rete di canali superficiali modificabili in base alle necessità e all’uso, che venivano “aperti” e “chiusi” con semplici “zappate di terra”.
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Dopo tali considerazioni, tornando concettualmente alla consistenza territoriale dell’intera cosiddetta “Beŗa”, occorre precisare che alcuni tratti della stessa sembrerebbero essere stati sotterranei e la percorrenza non apparirebbe continua, bensì intervallata da interruzioni dovute all’andamento orografico del territorio, nonché allo sfruttamento di innesto con altri corsi d’acqua minori discendenti dalle alture limitrofe: tali caratteristiche rappresenterebbero la funzione pratica di dotare l’intero territorio di una rete di canalizzazioni idrauliche piuttosto omogenea, ma non ricorrendo ad un unico canale, bensì a tratti di canali tra loro correlati e funzionalmente complementari e, quindi, a più fonti di approvvigionamento anche in contemporanea.

L’impianto idraulico della “Beŗa” non aveva origine dalla valletta di Moltedo – Barò, ma dal territorio di Stellanello, sulla sponda destra del Torrente Merula, in prossimità della confluenza del Rio Borgosozzo, in confrontanza della Borgata Albareto, da cui dirigeva verso il “gumbo” della Borgata Cà di Papi (sulla sponda destra del Merula) e proseguiva per raggiungere e collegare altri “gumbi” sino a quello sul Rio Cantalupo (davanti alla Borgata San Lorenzo, attualmente a lato del ponte per la Borgata Villarelli).

La percorrenza continuava in direzione verso mare e sempre a destra dell’alveo del Merula fino ad alimentare il “gumbo” – attuale proprietà Morro e successivamente a quello adiacente alla ex Cappella della Famiglia Barbera (ponte di Moltedo – Barò).



Proseguiva attraversando le regioni Pian di Basole e Berò (ai piedi della valletta di Moltedo - Barò), fino a raggiungere il “gumbo” ex Anfosso – Musso – Testa, dove si congiungeva con il canale proveniente dalla valletta del Duomo.



Continuava verso “u Gumbu de Rafè” (ex Musso), avvicinandosi alla sponda del Merula, fino a quasi incontrarsi con lo stesso in confrontanza davanti alla Borgata Melotti, e qui piegava per tornare verso la Borgata Ferraia (regione Acqua Calda), da cui proseguiva costeggiando la Strada Mandamentale fino a gettarsi nel Rio Acqua Donnetta, da cui ripartiva fino a giungere al Gumbassu.



Dal Gunbassu volgeva verso il Ponte Romanico, nei cui pressi finiva il suo percorso lineare, trasformandosi diffusamente in una rete più complessa di canalizzazioni anche localizzate, attivamente dipendenti da opere di presa nei vicini corsi d’acqua.
Tale sistema a rete lo troviamo anche su tutta la parte territoriale a Ponente del Merula, dalla regione San Giovanni fino al litorale costiero, con marcato sviluppo nelle immediate vicinanze a monte del complesso di Villa Tagliaferro ed alle spalle delle case della regione Stazione (con alimentazione dal Rio Rinnovo).
Nella parte compresa tra le regioni Frassada, Siberia ed il mare si riscontrano diversi tratti di canalizzazioni idrauliche interpoderali collegate trasversalmente con il Torrente Merula ed adducenti e/o confluenti nei limitrofi rii, pure senza mantenere una continuità con una dorsale comune longitudinale (pressochè il parallelismo segue l’andamento dell’alveo del Torrente Merula).
  
Ed in effetti tali constatazioni troverebbero conferma nel fatto che la conformazione territoriale lascerebbe dei dubbi circa una sola ed unica canalizzazione idraulica attraversante l’intero territorio comunale da Stellanello al mare, per la quale il naturale scorrimento idrico necessiterebbe di una pendenza, se non costante almeno continua, rimandando a costruzioni ingegneristiche ed architettoniche quantomeno importanti dal punto di vista dell’impatto, di cui non sono state reperite tracce documentali e neanche informazioni popolari.

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